Un appello ai lavoratori del Besta e dell'Istituto Tumori
Da www.z3xmi.it
Entro il 29 maggio la Regione ha messo il termine ultimativo per la scelta o del progetto Sesto o Perrucchetti. Ma i dubbi si moltiplicano e gli assessori De Cesaris e Majorino chiedono ai lavoratori sia del Besta che dell'Istituto Tumori di attivarsi con la Regione per chiedere più tempo e così valutare tutte le alternative, anche diverse dal trasferimento, ormai contestato da molti, di ambedue gli istituti.
Un vero e proprio aut-aut al Comune di Milano sul progetto città della Salute firmato Roberto Formigoni, con tanto di lettera recapitata l’altroieri a Palazzo Marino. Oggetto: la data limite fissata al 29 maggio, tra sei giorni, per decidere sul trasferimento dell’Istituto neurologico Besta e dell’Istituto Nazionale dei Tumori. Nell’area Falck di Sesto oppure, secondo l’ipotesi del comune di Milano, alla caserma Perrucchetti. Sul piatto uno stanziamento regionale di 232 milioni, "risorse che, ovviamente, sarebbe un delitto perdere - rileva Lucia De Cesaris, assessore all’urbanistica di Palazzo Marino - ma che andrebbero investite non così, ma con attenzione, sulla base di una reale comprensione delle necessità e prospettive di futuro di ambedue gli istituti coinvolti".
"Facciamo appello ai lavoratori di ambedue gli istituti perché si esprimano chiaramente sulla necessità di disporre del tempo necessario per valutare tutte le ipotesi – dice Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali – i termini restrittivi imposti dalla Regione non lo consentono". Un modo, nei fatti, per far passare d’autorità un progetto di spostamento (sestese o milanese che sia) di ambedue gli istituti.
Ma, nell’incontro informale con i due assessori (organizzato dalla consigliera della lista civica Anna Scavuzzo) tenutosi oggi alla biblioteca di Valvassori Peroni gli operatori di ambedue gli istituti di dubbi ne hanno tirati fuori a josa, soprattutto sull’ipotesi di trasferire qua o là Besta e Istituto dei Tumori, perché trovino spazi nuovi e facciano sinergie tra di loro (ritenute inesistenti).
Di più, non si è sentito un solo intervento a favore sia di Sesto che della Perrucchetti. Piuttosto, per l’Istituto Tumori, la necessità di consolidare gli investimenti già fatti e di affrontare i gravi problemi di personale e di fondi di ricerca dell’istituto. E per il Besta l’accenno al suo possibile trasferimento a contatto con un grande ospedale generale.
Ora però, stretti dal diktat formigoniano, la parola passa ai medici, agli infermieri, ai ricercatori. I vertici dei due istituti (nominati guarda caso dalla Regione) si sono invece finora rifiutati di incontrare i rappresentanti del Comune.
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La città della Salute serve davvero?
Il progetto Città della Salute, di fatto, non ha mai ascoltato gli operatori diretti degli istituti che dovrebbero essere spostati da Città Studi, il neurologico Besta e l'Istituto nazionale dei tumori. Un gruppo di professionisti ha cominciato a farlo, scoprendo realtà e esigenze ben diverse da quelle pubblicizzate ufficialmente. Al posto di progetti urbanistici calati dall'alto qui o là (con evidenti interessi dietro in alcuni) emerge che l'Int non ha interesse a muoversi da Città Studi, dati gli investimenti fatti. Mentre il Besta avrebbe necessità di insediarsi nell'area di un grande Ospedale generale, come per esempio il Niguarda, con cui condividere i servizi per abbassare i suoi costi e avviare nuovi spazi. E' un quadro che Gigi Campolo, primario ospedaliero emerito, delinea passo dopo passo.
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Gigi Campolo, primario emerito dell’ospedale di Niguarda, ha recentemente firmato, con altri colleghi, una lettera al Corriere della Sera in cui la questione Città della Salute è stata di fatto ribaltata. Invece di un progetto calato dall’alto, orchestrato dalla Regione, la lettera chiede di mettere al centro, nelle scelte sul futuro del Besta e dell’Istituto Tumori le esigenze concrete di chi lavora ogni giorno nei due istituti. Una richiesta che potrebbe apparire ovvia, ma che così non è. E che ha fatto un certo sclpore, facendo uscire la discussione sulla Città della salute dal limbo (un po’ malsano) dei soli progetti edilizi, o urbanistici, contrapposti. Verso requisiti sanitari e di sviluppo reali dei due istituti. Quali la non opportunità di spostare l’Istituto Tumori. E, per il Besta, la sua collocazione vicina a un grande Ospedale generalista.
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Come ricostruisci l’intera vicenda?
Tutta la discussione sulla Città della Salute si è caratterizzata, almeno finora, per la scarsa partecipazione della dirigenza sia dei tumori che del Besta. Si è svolta al di sopra degli operatori, prevedendo l’istituzione di questa Città della Salute come progetto capace di riunire in un unico punto una città di cura e di ricerca. Riunendo tre soggetti: due Ircs e l’ospedale Sacco di Milano. Su un territorio vicino a lui, ai confini con il comune di Nerviano. Un posto presentato come il polo pubblico di ricerca di alto livello.
Contro questo progetto si era già espressa la rappresentanza sindacale dell’Isituto dei tumori, sostenendo che era illogico un suo spostamento dato che aveva appena fatto grossi investimenti, come l’AmadeoLab, per arricchire la sua dotazione di ricerca e di laboratori.
In apparenza il Besta non diceva nulla. Anche perchè al Besta era stato messo un direttore generale di sicura fede formigoniana. Che è apparso come il soggetto interno per far passare questa operazione.
Ma veniamo ai giorni nostri: due anni fa mettono in piedi un comitato per la città della salute, che ha sperperato un sacco di soldi per fare progetti, che poi si scioglie l’anno scorso.
A fine 2011 si capisce che l’area non ha i requisiti necessari, perché le passa in mezzo un torrente che mette a rischio la sua stabilità idrogeologica. In secondo luogo mancava delle infrastrutture di trasporto. O il Comune spendeva svariati miliardi per portare lì metropolitane leggere e quant’altro, oppure sarebbe rimasta una zona comunque non raggiungibile. A quel punto quell’ipotesi è caduta verticalmente. Ed è iniziato un gioco anche tra Comune e Regione su dove collocare alternativamente la Città della Salute. Sono state individuate due ipotesi. Per il Comune la caserma Perrucchetti, per la Regione l’area di Sesto San Giovanni, offerta dal sindaco di Sesto. Ambedue sono aree pubbliche senza costi particolari, con necessità di alcune bonifiche, più facili sulla Perrucchetti e meno su quella di Sesto, ma comunque questo un problema di chi dovrà eventualmente operare la bonifica.
Entriamo nella scelta tra Perrucchetti e Area Falck….
E’ una situazione di stallo trascinatasi da dicembre, a colpi di ripetuti ultimatum che si sono dati la Regione e Comune. Senza però uscire da questa dicotomia.
Il forum Salute di Sel, a cui partecipo, usciva nel frattempo con un documento in cui non si prendeva posizione né per l’una né per l’altra soluzione ma si indicavano semplicemente alcuni requisiti. A quel punto sono partite alcune manovre, anche sostenute da personaggi Pd, per spingere la soluzione Sesto. Ma è stata l’altra ipotesi, più pericolosa, quella che avanza l’ipotesi di trasferire questi istituti vicino al Cerba, ovvero quell’istituto privato che Veronesi ha avviato sui terreni di Ligresti vicino all’Ieo nel Parco Sud. L’unico che ha sposato l’ipotesi Cerba è stato Podestà della Provincia. Mentre Formigoni è rimasto defilato, ma molti pensano sia l’ipotesi che davvero preferisce.
Questa ipotesi però ha ricevuto risposte negative piuttosto dure da parte dei due istituti, che non vogliono farsi colonizzare da Veronesi.
Ovvero: quello che ha scelto la strada del privato ora vuol cavalcare due strutture pubbliche, ciascuna con 30-40 anni di storia.
Mentre questo avveniva, l’interlocuzione con i responsabili operativi sia dell’Istituto Tumori che del Neurologico non è mai avvenuta. Quando abbiamo cominciato a parlare con loro abbiamo scoperto alcune cose. Primo, i due istituti sono strutture monospecialistiche, e come tali con molti difetti. E quindi aveva senso non tanto mettere insieme loro due, ma con un ospedale generale. Con i vantaggi di avere tutte le strutture e tutti i servizi che la struttura monospecialistica fa difetto ad avere. Dato che è saltata l’operazione con il Sacco questa opportunità è venuta meno.
Secondo, viene fuori che le due strutture hanno degenze molto diverse. Il Besta ormai non ha più spazio, non è in grado di allargarsi di un solo metro. Ha già un sacco di attività fuori, de localizzate, e per crescere ha bisogno di un’area assolutamente nuova. Mentre il Tumori non ha questo problema di aver riempito già tutti gli spazi, o quantomeno non è così impellente. In più tra i due istituti, che pure si rispettano a vicenda, l’idea che possano formare un polo di ricerca è una stupidata. Non hanno mai fatto una ricerca in comune. I partner li trovano a livello internazionale, ma non tra di loro perché fanno cose davvero diverse.
Il neurologico ritiene davvero di aver bisogno di un ospedale generale, perché la sua monospecialità è isolante, e non la fa crescere.
Questa è la situazione ad oggi. Le ipotesi sul tappeto sono due palesi e una nascosta. Le palesi sono Sesto-Falck e la Perrucchetti, la terza nascosta è l’adesione al Cerba di Veronesi.
Il che salverebbe anche gli interessi del gruppo immobiliare Ligresti, proprietario di quei terreni, oggi in gravi difficoltà…
Il nostro problema non è salvare gli immobiliaristi. Ma di dare un futuro a due istituti di grande valore.
Come è nata la lettera al Corriere?
La lettera sul Corriere è nata da un articolo di Schiavi, in cui si cominciava a parlare di temi concreti. Noi abbiamo solo detto che per fare questa scelta bisognava sentire i diretti interessati, senza imporre soluzioni sopra la loro testa.
In fondo la scelta dell’uno o dell’altro è indifferente. Quindi non è detto che le interazioni tra i due istituti siano così grandi, nè è detto che abbiano lo stesso bisogno di nuovi spazi per svilupparsi, non è detto che almeno uno dei due istituti non abbia bisogno di un ospedale generale per crescere. Quindi bisogna coinvolgere i responsabili operativi, oltre i direttori generali.
Le differenze sono evidenti. L’Istituto dei tumori ha già avuto molte estensioni in città Studi, ha acquisito un notevole complesso ex Siemens a Via Amadeo.
Per il Besta c’è invece un problema centrale. Ha il massimo interesse alla prossimità di un grande ospedale. E qualcuno ha proposto il Niguarda, che ha costruito vari palazzi nuovi al suo interno e ha dismesso una serie di corsie, che potrebbero essere riattate. O in alternativa potrebbe essere il Policlinico, usando gli spazi del Pini… tante ipotesi, ma la necessità è quella di stare vicini all’ospedale generale.
Conseguenze per la Zona Tre?
Questi sono istituti non solo di rilievo nazionale, ma internazionale. Certo, alla Zona 3 può dispiacere che vadano via queste strutture di prestigio, ma la realtà è quella che è. Il punto però è: se vanno via, non permettiamo che quegli spazi vadano solo a edilizia privata, ma a strutture sanitarie alternative, magari ambulatoriali. Ormai la zona non ha quasi più nulla di sanitario.
Il messaggio riassuntivo?
Il punto è che siano costretti a uscire allo scoperto gli operatori, in particolare quelli del Besta. Non possiamo progettare o programmare sulla loro testa.
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Per l'Istituto dei Tumori i problemi sono altri
Mancati finanziamenti alla ricerca, personale non sostituito, liste di attesa in aumento. Per l'istituto dei Tumori la città della Salute non è una priorità. Anzi, spiega Pasquale Brunacci, coordinatore della Rsu dell'Int, metterebbe in gioco investimenti costosi e recenti fatti a Città Studi, come le nuove sedi di AmadeoLab e Cascina Rosa. E Brunacci invita i decisori, soprattutto del Comune, a visitare di persona l'Istituto, fin troppo silenzioso sulla questione.
Pasquale Brunacci, coordinatore della Rsu dell’Istituto dei Tumori appoggia senza riserve la posizione dei medici e professionisti sulla Città della Salute.
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La lettera sul Corriere è importante. Io la leggo così: se proprio devono spostare il Besta che lo facciano. Ma l’Istituto dei Tumori deve restare in zona.
Siete contrari quindi al progetto?
No. Noi non siamo contrari alla creazione di una città della Salute. Anche perché tra qualche anno di qualche ospedale in più ce sarà bisogno, sia a livello milanese che lombardo.
A quel punto se si vuole costruire la città della salute bisogna fare un passo preliminare piuttosto semplice. Conoscere le realtà degli istituti. In un incontro a Palazzo Marino ho chiesto se erano mai venuti a vedere l’istituto, e come era messo. Prima di dire tante parole a caso ho scoperto che molti non sanno manco come è fatto. E il Comune la sua sigla sull’accordo di programma deve mettercela.
A differenza di Niguarda, San Carlo e altre strutture pubbliche l’Int si caratterizza per le risorse che ha investito.
E la domanda è: che fine farà tutta la struttura che rimane lì? Amadeolab, nuovo, costato una barca di milioni. Cascina Rosa, concesso per 90 anni. Sale operatorie nuove….
Tra le ipotesi ventilate anche l’insediamento vicino al Cerba di Veronesi.
Inaccettabile. Non esiste.
Quindi?
La situazione ora resta così, in stallo.
I due istituti sono diversi. Li puoi anche mettere insieme ma restano diversi, sono poco integrabili. Qualche servizio minore. La nostra preoccupazione è sui politici della Regione, che da dieci anni hanno fallito, perché manco sanno che cosa vogliono. E fa piacere che qualcuno, nella lettera, abbia scritto qualcosa di importante.
Abbiamo tanti medici bravi. Ma la responsabilità di questa situazione è anche loro. Siccome sono targati politicamente non si sbilanciano. Non hanno mai espresso un documento sul futuro dell’Istituto. L’unica cosa è che quando hanno sentito dell’ipotesi Veronesi hanno fatto fronte comune.
Per il resto nulla, e questo è un punto interrogativo.
Quali sono i problemi urgenti dell’Istituto Tumori?
Il giorno 9 maggio è stato approvato alla Regione uno stanziamento di 32 milioni di euro, 12 al Besta e 21 all’Int. Per investimenti correnti. Come la bonifica dell’amianto, il controllo della falda acquifera. Il decoro interno, macchinari.
Un contentino?
Pare proprio di sì. Infatti i soldi per la ricerca non ci sono. E ora abbiamo un problema di personale, con mancate sostituzioni. Abbiamo un buco di oltre 30 persone. Non poche. Tra sanitari e tecnici. Siamo in allarme.
Si sta creando un problema di assistenza. Non siamo un ospedaletto. Dobbiamo garantire servizi complessi. Noi trattiamo cancri.
Il risultato sono liste in attesa in aumento. Il centro di medicina preventiva ha tempi da 6 a8 mesi. Preoccupanti. Quindi i nostri problemi sono altri, di funzionamento, di necessità.
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