Il Centro Sociale: una risorsa o un male per Milano?
I centri sociali a Milano hanno una loro storia, sono senz’altro un argomento da affrontare, ma bisognerebbe farlo senza preconcetti né banalizzazioni, o almeno cercando di guardare bene cosa c’è dentro, chi sono coloro che si occupano di farli nascere e vivere e se sono tutti dei crogioli d’illegalità “tout court”.
Personalmente per anni ho guardato i centri sociali in modo superficiale, finché non ho cercato di approfondire l’argomento guardandolo da altri punti di vista, cercando una convergenza che mi aiutasse a capire meglio quella che era per me una forma illegale di occupazione, dunque da condannare senza distinguo. Ebbene oggi non credo si debba fare di “tutta l’erba un fascio”. Sono necessari strumenti legislativi che consentano a un’amministrazione pubblica, un certo spazio di azione per gestire i casi meritevoli e virtuosi. Se da un lato si guardano i centri sociali come la fucina di contestazioni contro ”il sistema” a prescindere, dall’altra qui si generano spesso meccanismi d’integrazione, basati sulla condivisione di temi che non sono cosi banali o quantomeno che non nascono solo da una condizione di sofferenza o di disagio sociale ma spesso anche perché inascoltati dal sistema, talvolta usati dalla politica.
Serve pensare alle variabili sociali, fino a sovvertire un archetipo se necessario, se funzionale a una stabilizzazione degli equilibri, partendo da una riqualificazione del tavolo che conta, dal decidere le figure che vi siedono che non devono essere solamente quelle autorevolmente riconosciute o gli aventi diritto per voti ricevuti. Occorre coinvolgere quella parte di società che protesta talvolta con un linguaggio stridulo, spesso fastidioso ai più, che lamenta qualcosa fino ad oggi passato come un disagio da gestire, filtrato da qualche operoso sociologo o politico. E’ chiaro che i Centri Sociali devono rientrare in un percorso di legalità, per questo occorrono strumenti legislativi nuovi, capaci di arrivare a soluzioni di un fenomeno che esiste e che è ancora sospeso da decenni.
Il mondo è gestito dal 20% di famiglie che detengono più del 60% della ricchezza globale, questo deve farci riflettere non tanto sul fatto se sia giusto o meno, ma se sia ancora accettabile e sostenibile. Questo significa che l’equilibrio di una Società non si basa sullo sviluppo ma sullo sfruttamento, attraverso il controllo della massa critica, l’alienazione delle intelligenze quando esse attentano al meccanismo con cui si muove un sistema, dunque una mera schiavitu'.
Recentemente mi ha colpito la notizia di una congrega di potenti miliardari ben distribuiti nei vari continenti, che hanno chiesto ai loro Stati di essere maggiormente tassati per dare un contributo alla riduzione o meglio al tentativo di ridurre la povertà e l’inquinamento nel mondo, forse folgorati sulla via di Damasco, certamente impauriti dalla pandemia che non guarda lo status patrimoniale. Il paradosso del ricco che si propone come il Robin Hood della situazione, contro un antagonista che non è lo sceriffo di Nottingham ma bensì un Don Abbondio timoroso non solo del suo Dio ma soprattutto di perdere il suo status, un Ponzio Pilato all’ennesima potenza, figure retoriche che oggi occupano molte delle poltrone di comando a livello mondiale, sostenuti e pilotati da quelli che chiedono di essere tassati, a dimostrazione che sono sempre e soltanto loro a decidere se pagare le tasse o meno, coloro i quali hanno raccolto ricchezze a man bassa ove potevano, generando proprio ciò che oggi vorrebbero combattere o ridurre. Le due facce della solita medaglia che oggi vorrebbero passare per “la soluzione dei mali”, ancora una volta mettendo fuori gioco quell’80% che deve accontentarsi di ciò che é elargito, spesso con una pianificazione aberrante.
Non a caso sono spesso le periferie, sicuramente meno agiate, le maggiori generatrici di gruppi di protesta qualche volta organizzati altre meno. Un tempo i gruppi erano gestiti dai partiti, oggi la genesi è cambiata, non ci sono più i cosi detti "bombaroli", in effetti, si vedono molti studenti certamente meno dotati di strumenti offensivi e più di parole e idee. Dunque sono andato a vederne un paio cercando di capire come funzionassero e ho trovato un mondo che non mi aspettavo, fatto di partecipazione e di accoglienza, di gente che si rimbocca le maniche per un ideale, nessuno fa niente, tutti partecipano attraverso i collettivi, ognuno può parlare, anche gli ultimi arrivati. Sicuramente non manca la componente più radicale, ma spesso è altrove e tenta di coalizzare o polarizzare le varie anime dei gruppi, verso un percorso piuttosto che un altro, per questo vanno incontrati e ascoltati.
Ecco che il Centro Sociale diventa un punto di aggregazione e di partecipazione popolare ma anche intellettuale alle questioni della Città, forse anche una valvola di sfogo ma non senza intelligenza e predisposizione a capire meglio un contesto, al netto di alcune “teste calde” che troviamo anche nelle forme “evolute” di partecipazione dove talvolta gli “…enni” sono peggio dei ventenni, magari solo perché hanno fatto il '68 o altro negli anni 70, poi sopiti e risvegliati non vorrei dire dalla noia ma spesso da “back in time” dei migliori anni della loro vita, in alcuni casi un po' patetico. Il Centro sociale è oggi un sostituto dei Circoli ricreativi di un tempo, anche delle sedi politiche che erano sempre aperte come le chiese, dove una volta si discuteva anche animatamente, e dove le diverse anime si radunavano intorno a un tavolo di “scopa” o “tre sette” e un bicchier di vino. Certo una visione romantica molto lontana ma non troppo, visto il post lock-down in cui tanti hanno riscoperto il vivere di cose semplici nell’ambito dei rapporti sociali.
Quello che mi ha davvero colpito è che i più credono in quello che fanno e lo fanno con pochissimi strumenti e pochissime risorse, dunque con l’aiuto spontaneo della gente comune e con queste poche risorse fanno talvolta dei piccoli miracoli, aiutando gente fino a ieri normalissima e oggi nella disperazione per non trovare un alloggio, un luogo dove mangiare e dormire, per tanti, purtroppo, una deprimente normalità quotidiana. Resto sempre molto critico e tendenzialmente più negativo che positivo, ma capisco i distinguo e condivido la necessità di dover agire “cum grano salis” selezionando i meritevoli con maggiore attenzione. Dovremmo capire meglio le nuove forme di aggregazione giovanile e di protesta, c’è bisogno di andare in basso e non in alto, là dove nasce e si manifesta il disagio, prima che diventi protesta o peggio, aggressione a tutto ciò che poi viene catalogato come “benessere di altri” e dunque da danneggiare, magari rispolverando l’espropriazione proletaria o altri slogan degli anni che furono.
La Società deve evolversi e la politica deve confrontarsi affinché si trovino forme concentriche dove convogliare anche queste forze per lo più giovanili, in modo che escano dal limbo e si tuffino nella realtà perché c’è bisogno di nuove forme, nuove idee, di un altro mondo in cui i cittadini, che soffrono un disagio ma che abbiano idee, siano messi in grado di esprimersi e realizzarsi all’interno del sistema Città, in modo diretto, e le forme evolute di Partecipazione, devono agevolare il ricollocamento di queste cellule facenti parte del tessuto sociale, prima che essere diventino metastasi di un male incurabile: il disagio sistematico dei cittadini penalizzati.
Gianluca Gennai