Milano dopo il Coronavirus, riflessioni
Milano dopo.
Pensare a come sarà il dopo, presuppone di comprendere bene il presente anche a livello politico, soprattutto in un momento come questo.
Si pone la questione del modello, cioè l’esperienza che fa da modello, al quale apporre le dovute correzioni per essere attuato. Purtroppo non abbiamo un modello del passato da prendere in considerazione o meglio, i modelli del passato sono troppo lontani e probabilmente frammentari per essere utilizzabili, dovremo farlo ex-novo.
L’unico modello sociosanitario applicato al momento è la quarantena, parola derivante dalla veneta quarantina. Quaranta giorni in isolamento a garanzia di un'immunità di gregge, durante il quale, c'era chi moriva e chi s'immunizzava. La Repubblica Marinara di Venezia, applicava la quarantena a tutte le navi in arrivo dai territori sospetti o contagiati da una qualche grave malattia. La più famosa e triste epidemia fu la peste del 1600. Le navi dovevano fermarsi all’isola del Lazzaretto, dove lasciavano l’equipaggio in quarantena, da questa deriva il termine con cui è indicato un ambiente dove sono portati gli infettati, oggi curati un tempo lasciati al loro destino (il più famoso è il Lazzaretto dei Promessi Sposi, in una Milano seicentesca).
La quarantena deriva da antiche credenze più che da dati scientifici, in cui si sono cimentati i vari personaggi della storia o della religione per purificarsi dai mali dell’anima e ai peccati del corpo (i quaranta giorni del Cristo nel deserto, oggi celebrati con il periodo di Quaresima prima della Pasqua). Il metodo della quarantena resta tuttavia l’unico modo per gestire un'epidemia apparentemente non arrestabile.
La consapevolezza di quanto sta accadendo non credo faccia parte della realtà individuale di oggi. Tutti noi, chi più chi meno, siamo appesi ai numeri sfornati notte tempo, spesso mal divulgati e male interpretati, senza che le istituzioni locali facciano filtro, in attesa che da un giorno all’atro, ci si risvegli da un incubo. Stiamo chiusi in casa necessariamente presenti su quelli che sono i beni di prima necessità, sospesi, ibernati in una realtà parallela o vittime di una psicosi. Dunque il primo problema da risolvere è apicale, come dire a tutti che questa situazione andrà avanti probabilmente per molto tempo senza rischiare il default sociale?
Tale dilemma impone alla classe dirigenziale un non facile ma doveroso atto di responsabilità e a noi un responsabile ascolto. Non avendo modelli da prendere in considerazione, gli errori sono possibili, anzi certi e devono necessariamente essere messi in preventivo purché fatti in buna fede. Dopo questo primo e fondamentale passaggio, dovremo passare a pensare al primo futuro, in cui far ripartire la quotidianità dunque il lavoro e l’istruzione, i primi due sistemi che sono alla base della vita anche sociale delle persone, per via delle molteplici situazioni coesistenti.
Sul "dopo" molte personalità si fanno domande, uno spunto interessante lo da Alain Boderou, filosofo francese di formazione marxista, il quale sostiene che il dopo sarà come il prima, a parte ritocchi alla sanità e alla scuola, la prima perché tutti abbiamo capito l’importanza di una sanità prospera e organizzata, la seconda per aver scoperto forme alternative al banco in classe, legate all’ottusità dei preistorici formatori o presunti tali, radicati sulla formula dell’orario e sulla forma più che sulla sostanza. Coloro che del rigore fanno imperativo e non certo un rafforzativo. Insomma, meglio un rassicurante "signorsi" che una sovversiva intelligenza, cosi classificata sulla base di una repulsione ai canoni del dogma formativo italico, dunque per sempre un testadi....
Boderou insegna e mi trova d’accordo nonostante la differenza politica. Questo vuol dire che l’uomo e il suo pensiero vengono prima dell'idea politica.
Milano impone a tutti noi una forte reazione non solo intellettuale ma anche più bassa, fisica, a quello che sin qui si è manifestato come un vero e proprio dominio sommesso, silente e per questo potentissimo di un livello irraggiungibile e forse appena percettibile, del potere assoluto che domina tutto e tutti comprese le istituzioni che non hanno esitato a dare un contributo anche attraverso un'esposizione esplicita e, nel caso specifico, irresponsabile, volta ad alimentare la meritrice.
Il dopo dovrà essere necessariamente vissuto con forza da chi se la sente, dovrà essere un momento di ripartenza, dove la cittadinanza "minore" dovrà farsi sentire e non gestire come avvenuto fino ad oggi. La politica fallimentare, quella delle patetiche T-shirt e dei cocktail mentre i lodigiani piangevano i loro cari, gesti umanamente comprensibili per chi non ha delle responsabilità apicali, gesti tuttavia da non considerare degli errori anche se tali per stessa ammissione dei protagonisti, perché fatti da personalità con un bagaglio tecnico, culturale e d'istruzione molto alti, dunque più probabilmente megafoni di una strategia forse generata da qualche think-thank profumatamente pagata, dalle statistiche delle dissuasioni di massa. Tutto questo dovrà essere fortemente contrastato non con la logica del male minore, se mai cercando un bene superiore, un uomo o una donna tra la gente, tra chi di politica non è mai campato e che sia incline a risolvere i mali della società a partire dal basso, dal padre di famiglia e dell’operaio raggirato dal sistema di potere che vuole tutti capaci di spendere ergo di produrre ricchezza rispetto a una scala di valori fatta altrove, dalla finanza. Dovremo ripartire con forza, contro quella che davvero potremmo definire un’immunità di gregge nel senso della pianificazione da parte di chi detiene quel potere da far passare il male supremo come il bene più grande per la comunità.
Fu detto da un vincente che "tagliare la testa al re" era da plebei, dunque se fatto dai plebei può essere un gesto nobile.
Gianluca Gennai