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Ciclicamente torna fuori la polemica dei voti a scuola: rileggo addirittura interventi di chi afferma che si dovrebbe tornare al giudizio, dopo che per anni, nella scuola media inferiore, la politica del non voto ha formato una generazione di scontenti che, alla fine della spiegazione del giudizio da parte del professore, sul compito o sull’interrogazione appena svolta chiedevano sempre”Si, ho capito ma quanto ho preso?” obbligando, di fatto, il Ministero, a fare un passo indietro. Oggi sono i dirigenti scolastici a predicare di non dare voti troppo bassi, strizzando l’occhio ad un’utenza , linguaggio burocratico che indica gli allievi, che deve essere allettata a servirsi di una scuola che non punisce severamente: questo è il messaggio che passa, E, tanto per cambiare, sul banco dell’accusa salgono di nuovo i professori, lasciati soli da chi li dovrebbe sorreggere, ovvero i dirigenti, e pungolati dagli alunni che si ritengono legittimati a chiedere di alzare il voto. Insegno da trent’anni e, applicando quanto prevede la legge, i voti vanno da 1 a 10: Se il compito è in bianco, ovvero non svolto , il voto è 1. Chiaro che se poi la stessa persona studia, migliora, si applica, la valutazione di quel voto sarà inserita in un contesto diverso, di crescita e miglioramento. Nessun ragazzo ha mai pianto per un voto brutto se opportunamente spiegato e fatto capire: funziona da stimolo e migliora i rapporti nella classe, dove gli alunni amano essere giudicati con equità. Perché se uno non studia e prende in giro deve avere il 4 garantito? Le generazioni del 6 politico non hanno fornito grandi risultati successiv, vogliamo tornare a quei tempi? Credits: Ilsussidiario.net