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Inviato da avatar Roberto Caracci il 10-03-2025 alle 10:32

La filosofia analitica, di cui ha ben parlato domenica 9 marzo il prof Velardi alla Filosofia sui Navigli, e che con una vecchia distinzione un po’ obsoleta si usa dividere dalla continentale, sembra comunque nascere da una riserva anti-psicologica, che taglia fuori dal cosiddetto Linguaggio essenziale la Rappresentazione, la Sensazione, il Senso, l'Esperienza immediata. In pratica la vita e l'uomo stesso. Un vecchio riduzionismo, insieme simbolico e matematico, che riduce l'uomo all'osso, a scheletro, a trama logica, e lascia poco di quel vissuto, di quella Vita Vissuta, che già Husserl nella Crisi, alla fine di un travagliato percorso dominato inizialmente dall'anti psicologismo di Frege, aveva riscoperto alla fine dei suoi giorni, insieme (come racconta spesso Sini) a quella cosa platonicamente vituperata che è la doxa, e forse addirittura il senso comune. Mi sono permesso di ricordare ai Navigli che l'etimologia dell'analisi che sta alla base delle filosofia analitica ha a che fare con lo Sciogliere, che una sorta di Scioglimento dell'acido della logica che finisce col fare dell'uomo uno Spreco da Sciogliere e da RI-solvere. Forse una soluzione salina. E dire che il Linguaggio essenziale e simbolico, matematico e cifrato di certa filosofia analitica (detto da un continentale non pentito come il sottoscritto), è proprio l'oggetto di studio e lavoro della filosofia analitica, che a volte sembra non occuparsi di altro, ma forse parla di un linguaggio che non esiste, se non come sistema e costruzione, se non come algoritmo e gabbia. C'è da perdersi in tanta claustrofobia, perché quanta ricchezza del linguaggio umano si perde in questo linguaggio formalizzato, che i robot, i pc e la stessa intelligenza artificiale oggi ben conoscono. Per fortuna il linguaggio dell'uomo, e non solo quello della poesia, ben trascendono ogni linguaggio strumentale, codificato e formalizzato. Se voglio nel mio linguaggio ritrovarne l'essenza, troverò forse la scienza e la logica, ma rischio di perdere l'uomo, di perderne l'esistenza. E' la solita reductio della ragione a ratio calcolante, che fa della ragione uno strumento per raggiungere fini, se fini ci sono, visto che il senso sembra prescindere da questa ragione. Non a caso sono proprio due geni partenti dall'analitico, Wittgenstein e Godel, hanno sembra colto i limiti di questo linguaggio razionale e di questo sistema global-calcolante. L'uno con la teoria dei giochi, che fa del linguaggio una scelta di giochi linguistici operati  praticamente e con l’uso dall'uomo. L'altro con i limiti autoreferenziali, a quanto ne ho capito, di ogni sistema logico-matematico chiuso. Se il linguaggio è funzione, il senso è tagliato fuori, bisogna farne epochè, e con esso anche l'uomo e la sua storia. Non a caso il prof. Velardi ha alluso alla coesistenza di una filosofia analitica (che scioglie) che una filosofia sintetica (compone). E fino a prova contraria l'uomo, notoriamente illogico, lo si comprende più con la sintesi, in una società complessa, che con l'analisi. Non a caso la società occidentale, di origine filosoficamente platonica, ha partorito il Rasoio di Occam, taglio preventivo contro il Superfluo della Vita e del Sapere, di cui comunque Vita e Sapere sono nutriti. Quel rasoio taglia molto, taglia troppo, per arrivare all’essenziale e perdere l’esistenziale, per così dire. Anche un linguaggio portato all’essenza del significato perde molto, perde troppo, a favore di una scheletrizzazione del linguaggio, tra l’altro funzionale non solo alla prassi ma anche al potere, come certe forme di filosofia anglo-americana secondo alcuni hanno dimostrato. Diciamo che la Logica Formale di molta filosofia analitica, sta fra il Gioco (Wittgenstein) e il Calcolo, ma dietro il Calcolo spesso si nasconde- più che la scienza tecnologica- il Potere di chi quella Logica la usa (Conoscenza e interesse). Il prof Velardi ha brillantemente parlato da Analista Pentito? No, per me ha parlato da Analista Critico. Del resto Velardi conclude brillantemente citando la Barba di Platone di Quine e del proprio ultimo libro, barba che cresce nonostante ogni Rasoio logico ed epistemologico, per una ontologia nuova e non asettica che si apra al divenire, alla storia, alla crescita e all’esistenza, alla nostra come a quella degli oggetti materiali. La barba di Platone cresce oltre ogni gabbia logica, oltre forma di barba preconfezionata, oltre ogni rasoio analitico. La barba-vita ricresce, fra pre-intuizioni e trasformazione, e va certo curata, ma non solo tagliata.

Roberto Caracci

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