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LA GABBIA DELLA LOGICA E LA VITA NON ALGORITMICA
Riassumo il mio intervento, alla Filosofia sui Navigli, dopo l’ottima presentazione del prof. Vettorello, da parte di P. Tamburrini e G. Beltrami (mancava per indisposizione M. Biecher). Si parlava di logica formale, e di argomento ontologico in Gödel e Russell, addirittura di prova logico-simbolica dell’esistenza di Dio in Gödel, sulle tracce di quella del medievale S. Anselmo: come il più perfetto di ogni pensiero dell’uomo, Dio non può non esistere. Mi sono permesso di ricordare che già Kant ammonisce che l’esistenza non è un predicato, e che neanche di Dio si può predicare che esiste, sulla base del suo essere pensato, anche come perfettissimo. Sarà il fatto di non essere portato per la Logica, che già dai tempi dell’Università avevo escluso forse colpevolmente dal curriculum di Filosofia, ma non ho mai visto un nesso fra Logica e Vita, tranne che strumentale, nell’ottica della Ratio come Calcolo. Ho visto sempre, forse kantianamente che hegelianamente, che la vita umana può rientrare nell’illogico, nell’eventuale, nell’imprevedibile, dell’irrazionale e dell’assurdo, più che nel logico e razionale di ogni panlogismo, hegeliano o logico-formale. La vita non ha una forma e non la vuole avere. La sua libertà, per dirla con Sartre, e la sua trascendenza, stanno tutte qui, nel non rientrare nella gabbia e nell’algoritmo di nessuna logica. La logica, anche formale e simbolica, è utile, ci fa capire ma non spiega, parla di passaggi, di mezzi, di strumenti e non di senso, né di scopi. E’ interna a se stessa, e come strumento della razionalità e della stessa democrazia va benissimo. Ma la vita è altro, l’esperienza è altro. E tutti, dai tempi di Kant e anche prima, sappiamo che i fini e il senso non si danno con i procedimenti della Logica, che è solo la scala per arrivare dove abbiamo scelto di arrivare, eticamente, politicamente, esistenzialmente. Poi quella scala, come direbbe un pensatore come Wittgenstein, va abbandonata, e non per raggiungere il mistico, ma la vita, che la Logica insegue invano come Achille la tartaruga nel paradosso di Zenone. Anche un ex filosofo della matematica come Husserl finì per riscoprire, come racconta Sini, il mondo della vita e della doxa oltre tutte le fenomenologie logiche del mondo.
Non solo il mondo non si riesce a spiegare, nell’assurdità della Storia, figuriamoci Dio, a meno che Dio non sia un algoritmo. Credo quia absurdum, finirono col dire i medioevali, ma poco dopo qualcuno per salvare la fede, Intelligo ut credem, ragiono per credere, uso l’intelligenza per sostenere la fede, e toglierla dal Dubbio. La verità è che anche nell’età moderna, come direbbe Nietzsche, la Logica diventa grimaldello per scardinare il mondo, comprenderlo e ingabbiarlo, utilizzarlo ad uso di chi crede nella Religione, nella propria Fede, ma alla fine ha potenza, economica e politica. La Logica si fa asservire, alla fine, più della stessa Filosofia che non è Serva, come direbbe un greco.
E per finire mi sono permesso di citare i personaggi di Pirandello, quando dicono di vedere nella Logica, e nello stesso Concetto che con-cepisce afferrando, un Guscio Vuoto che avvolge la Vita, la chiude e la avvolge, finchè la Vita come Evento lo fa scoppiare, lo buca. E la Vita contraddice la Logica, perché ogni Forma è una Fine, soprattutto ogni Logica Formale.
Roberto Caracci
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