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Inviato da avatar Nadia Ferrari il 19-05-2024 alle 20:12

Una prima riflessione dopo aver preso visione dell’interessante percorso di ricerca per la costruzione del Patto Educativo Digitale a Milano in riferimento soprattutto alle conclusioni del report dell’indagine su genitori e figli 

Il Digitale nella Scuola dell'Infanzia: Opportunità e Limiti

L'era digitale ha pervaso ogni aspetto della nostra vita quotidiana, compresa l'istruzione. Nella scuola dell'infanzia, l'introduzione di strumenti tecnologici rappresenta un cambiamento che porta con sé numerose opportunità, ma anche sfide che richiedono un'attenta considerazione. Sarebbe necessario provare ad esplorare i pro e i contro dell'integrazione del digitale in questa età e fase cruciale dello sviluppo educativo, ma è una prova troppo alta e, oramai si sa, che di fronte a realtà complesse nessuna semplificazione è efficace e tanto meno utile; perciò, mi limiterò alla mia esperienza di insegnante di scuola dell’infanzia.

Ho appreso, senza alcuno stupore, che l’età con cui un bambino viene a contatto con lo schermo va via via abbassandosi e pare che oggi addirittura sia sotto ai due anni…  di fatto non è tanto difficile immaginare il perché. Credo che l’uso massiccio del digitale in età precoce svolga un ruolo di babysitteraggio più che una funzione educativa e di avvicinamento all’apprendimento di competenze di base previste anche dalle raccomandazioni europee e assunte dal nostro paese.  I bambini piccoli davanti allo schermo stanno buoni: stanno fermi, stanno a tavola, stanno zitti o è meglio dire in silenzio … permettendo agli adulti di svolgere alcune attività senza fare delle fatiche infernali. Anche nella scuola dell’infanzia, dobbiamo ammetterlo, non è raro utilizzare la proiezione di brevi filmati con la lavagna interattiva non per riprendere i significati nei percorsi di apprendimento ma come “riempitivo” per tirare il fiato… e umanamente tutto ciò e anche comprensibile!

Sorgono quindi una serie di domande, oltre alla domanda di senso, che risponde al perché usare il digitale già dalla scuola dell’infanzia è necessario interrogarsi sul “come” lo si usa, quali sono le pratiche più diffuse? Ci sono delle buone pratiche? E soprattutto, oltre agli investimenti sull’acquisto selvaggio di strumenti da inserire nelle classi (Piano scuola 4.0) è prevista e si è avviata la fase di formazione degli insegnanti affinché l’uso possa davvero svolgere un ruolo di sostegno dell’apprendimento?

Sulla domanda di senso, e cioè sul perché, mi pare che oramai possiamo rispondere con una certa serenità che, piaccia o meno, nel digitale siamo immersi tutti.  Nessuno ne è esente: usiamo il navigatore anche se le strade le conosciamo perché è più comodo e ci evita qualche multa…chi non ha whatsapp? o non ha mai usato meet scagli la prima pietra!  Quindi avrebbe poco senso, anzi sarebbe proprio un errore, soprattutto per la scuola, demonizzarlo o anche solo ignorarlo. Del resto durante la pandemia il digitale ha rappresentato l’unica possibilità di avere relazioni sociali, fare scuola, e in qualche misura pareggiare lo svantaggio e le differenze che altrimenti quella situazione avrebbe creato ancora più drasticamente.  

Proprio durante la pandemia la scuola dell’infanzia, dopo il primo momento di sbandamento come in generale, ha cominciato a riflettere e sperimentare nuove prassi per poter mantenere una relazione educativa di senso seppur a distanza. Non era certo pensabile convocare davanti agli schermi, quotidianamente e per ore, bambini dai 3 ai 5 anni e svolgere delle lezioni come succedeva per gli altri gradi di scuola, anche se purtroppo qualche dirigente di istituto comprensivo ha indotto la scuola dell’infanzia ad allinearsi pretendo programmazioni giornaliere delle attività come se nulla fosse accaduto… In realtà nella maggioranza delle situazioni i docenti delle scuole dell’infanzia, per primi e autonomamente, discutendo nei collegi docenti on line hanno elaborato modi diversi, ma possibili, per fare scuola a distanza ragionando anche sugli strumenti più adatti, sulle modalità di relazione più adeguate, e riflettendo anche sulla scansione di una proposta che doveva provare ad essere educativa seppure fuori da ogni confine spazio/temporale.

Non è stata una sfida semplice ma molto significativa.

Le scuole hanno cominciato a darsi delle regole, delle linee guida, che tenessero conto delle possibilità del bambino di partecipare dall’altra parte dello schermo da protagonista e non solo come fruitore. Tanto che dopo un po’ di tempo sono arrivate dal ministero le indicazioni didattiche per l’uso del digitale: i “LEAD” legami educativi a distanza, proprio a sottolineare che i bambini di questa età non avrebbero potuto dare senso alla DAD garantendo la differenza. I LEAD avevano l’obbiettivo soprattutto di assicurare la presenza e la vicinanza della scuola, di rinsaldare il patto tra genitori e insegnanti, patto che divenne essenziale per la riuscita della proposta. L’accordo e la collaborazione con i genitori anche in termini di programmazione delle attività e degli orari (gli orari classici di scuola non andavano più bene). La flessibilità organizzativa era il vincolo primario. Lo scopo: non lasciare indietro nessuno. Ogni situazione/classe ha strutturato la sua “organizzazione”. Mai come in quel momento la collaborazione tra scuola e famiglia dovette stringere un’alleanza.

Al centro dell’attività dei LEAD c’era l’esperienza e il gioco, salvaguardando l’idea che la scuola dell’infanzia non perdesse i suoi connotati di metodo basati sull’esplorazione e la ricerca. Ovviamente bisognava escogitare forme di ricerca inedite rimanendo chiusi nelle case, ma le attività che si inventarono in quei momenti erano davvero molto molto creative. 

La differenza tra scuole dell’infanzia che hanno elaborato un modello di pensiero  partecipativo era molto evidente: si sono viste attività in video intesi come tutorial, cioè con delle “performance”:  istruzioni precise e uguali per tutti che facevamo raggiungere un prodotto, spesso un banale lavoretto, e scuole che al contrario indicavano attività di ricerca, in cui la richiesta era “proviamo a cercare insieme” ognuno nella propria casa… che so faccio degli esempi: le forme geometriche nascoste nelle cose reali, piuttosto che provare a fare un disegno con le macchie di caffè… poi in collegamento si condividevano le scoperte e ci si raccontava l’esperienza. Quel poco di esplorazione possibile in quella condizione di isolamento dava però un segno: al centro della proposta c’era il percorso e la possibilità di imparare tramite la scoperta e non la ripetizione meccanica di cose proposte dall’adulto.  I prodotti finali, esito delle scoperte, erano sempre originali ed inaspettate sorprese. Io ricordo che avevo organizzato gli spazi di casa mia come dei “laboratori”; perciò, quando mi vedevano in cucina l’attività era di scienze (i pasticciamenti), mentre se ero in soggiorno l’attività era di arte e in taverna era il momento della lettura…   la mia carissima collega Cinzia inventò per i piccoli di tre anni il momento della storia della buona notte: dopo cena si collegavano tutti in pigiama, lei raccontava la storia, e poi tutti a nanna. 

Tutto questo per dire che la tecnologia è vero che esercita un forte fascino sui bambini, rendendo l'apprendimento anche un'attività divertente, ma che la scuola nell’utilizzarla deve sempre porsi la domanda di senso: per quale scopo? per raggiungere che? La scuola dovrebbe tenere viva l’incertezza tra alfabetizzare alla digitalizzazione e fare in modo che non si trasformi in una dipendenza. Ci ricordava il sempre compianto Loris Malaguzzi che i bambini per capire, per interpretare la realtà hanno 100 linguaggi. Forse oggi è ancora più urgente dare valore a tutti quei linguaggi (il linguaggio del corpo, l’arte, la musica, la danza, il teatro, costruire con le mani, pasticciare, disegnare, scrivere realmente…) nella consapevolezza che il linguaggio digitale è uno solo dei 100.

Fortunatamente non siamo più in pandemia ma bisogna tornare a “dare misura” e non permettere che il digitale si sostituisca totalmente al corpo, soprattutto nella scuola dell’infanzia. “Quando la mano si perfeziona in un lavoro scelto spontaneamente, e nasce la volontà di riuscire, di superare un ostacolo, la coscienza si arricchisce di qualcosa di ben diverso da una semplice cognizione: è la coscienza del proprio valore”. (Maria Montessori) La mano, dunque, è il direttore dell’orchestra dei sensi e i sensi, a loro volta, sono esploratori del mondo.

L’insegnamento del digitale occupa una parte importante (forse eccessiva) nel panorama scolastico odierno la consapevolezza che gli strumenti tecnologici sono un mezzo in mano agli insegnanti ed al servizio dei saperi e del benessere in generale, non deve mai essere dimenticata. I tablet, i pc, ecc. sono media culturali esattamente come i libri, è l’insegnante che sceglie “se e quando” utilizzarli per promuovere l’apprendimento. Il processo di insegnamento e apprendimento è cosa molto più complessa e molto più ricca.

Tornando alla scuola dell’infanzia ciò che a mio parere oggi viene largamente sottovalutato è il pensiero dei bambini sulla realtà virtuale. I bambini spesso vengono “addestrati” o meglio accompagnati a imparare l’uso degli strumenti ma come si rappresentano i procedimenti che avvengono di nascosto dentro a quegli archibugi non trova molto interesse.  Cosa succede dentro alla lavagna multimediale, al tablet, al pc? come fanno le cose a essere lì e poi scomparire? e senza che nessuno le abbia cancellate? Cosa vuol dire salvare? I disegni dove vanno a finire? e poi com’è che con un clic magicamente ritornano? e si possono modificare, cambiano colore? posizione? …  Quante domande affollano la mente di un bambino? E quante spiegazioni si dà (da solo) sul funzionamento delle cose del mondo che lo circonda di cui la scuola non viene a conoscenza? Indagare il pensiero dei bambini rispetto agli ingranaggi del digitale può essere un compito affascinante e stimolante e dato che i bambini in questa fascia d'età sono ancora molto piccoli, è importante adottare metodi di indagine che siano adeguati alla loro capacità di comprensione e di espressione. Per esempio, osservare come i bambini interagiscono con la tecnologia potrebbe rivelarci stili sul loro approccio alle cose “sconosciute” e quali difficoltà incontrano o quali paure.

Nella mia esperienza in questo campo ho constatato che molti bambini tendono a dare attributi umani ai dispositivi digitali. Ad esempio, possono pensare che un tablet "sappia" cosa vogliamo fare o che un computer "parli" con loro e con altri computer, o che “senta” quello che ci stiamo dicendo, per arrivare a coprirlo perché può avere freddo…

Questa visione riflette un tentativo di comprendere la tecnologia attraverso l'analogia con gli esseri viventi, attraverso un modello antropomorfico.  Alcuni bambini credono invece che i dispositivi digitali funzionino grazie a una sorta di magia (è la fata tal dei tali, o è Gesù che…), rappresentazione particolarmente comune nei bambini della scuola dell’infanzia che ancora faticano a dividere il piano della fantasia con quello della realtà. Per loro, la tecnologia può sembrare "magica" perché produce risultati sorprendenti senza un meccanismo visibile.  Ed ancora altri bambini mi riferivano di pensare che all'interno dei dispositivi digitali (tablet o pc) ci fossero piccole persone (degli omini) o animali che eseguono i compiti richiesti. Questa idea deriva dalla loro esperienza di causa-effetto nel mondo reale.

Organizzare laboratori in cui i bambini possono smontare vecchi dispositivi (con la supervisione di un adulto) per vedere cosa c'è dentro è un tipo di attività pratica che   aiuterebbe la comprensione dei componenti interni dei dispositivi modificando le prime rappresentazioni spontanee dei bambini, oltre che stimolare la loro curiosità. Del resto, il lavoro di Piaget sullo sviluppo cognitivo dei bambini, anche se non specificamente concentrato sulla tecnologia digitale, ci ha insegnato che i bambini attraversano fasi di sviluppo in cui la loro comprensione del mondo diventa progressivamente più complessa. Nelle prime fasi, sono più inclini a spiegazioni magiche e antropomorfiche, sviluppano teorie sul funzionamento delle cose del mondo che li circonda basate sulle loro esperienze e capacità cognitive. Ma queste teorie possono anche informare le strategie educative per introdurre concetti complessi in modo accessibile e coinvolgente. Ecco, l’attenzione anche a questi processi di costruzione della conoscenza renderebbe l’apprendimento digitale molto più significativo da un punto di vista pedagogico e educativo. 

In conclusione, l'integrazione del digitale nella scuola dell'infanzia offre opportunità per arricchire l'esperienza educativa dei bambini, ma deve essere gestito con cura e consapevolezza. È fondamentale trovare un equilibrio, non solo sul tempo d’uso o su sistemi di controllo dell’accesso precoce alla rete (filtri, blocchi… ) da parte degli adulti, ma anche nella scuola tra l'uso della tecnologia e le attività tradizionali, garantendo un ambiente di apprendimento stimolante, sicuro e inclusivo, in cui il corpo (dei bambini ma anche degli adulti) non sia un corpo seduto al banco e il mezzo di esplorazione del mondo il dito con un clic. 

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