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Inviato da avatar Gianluca Gennai il 04-09-2023 alle 17:49

Sì Giulio... La tua visione la capisco.

Tuttavia c’è una base di partenza che non è in grado di reggere le differenze di concetto tra integrare educando o educare integrando. Purtroppo vedo con occhi che hanno visto abbastanza da poter parlare con cognizione di causa e questo parametro non mi fa stare tranquillo, anzi.

Condivido a pieno le opere sul campo, le attività di supporto sul posto, le Missioni ecc. Questo dobbiamo farlo ed è una via corretta se vogliamo essere d'aiuto. 

Io credo che si debba ripartire dei mediatori culturali che devono necessariamente essere con esperienza sviluppata nelle stesse realtà dalle quali arrivano questi individui, peraltro molto differenti tra di loro. Non si può pensare che l’egiziano del Cairo o Alessandria d’Egitto sia uguale al gabonese di Libreville o uno stesso egiziano che arriva dai confini con il Ciad, da un villaggio con case di paglia e sterco. Di cosa parliamo? Vanno coinvolte le Ambasciate in modo serio. Devono prendersi carico dei problemi procurati dai loro connazionali. Gli Stati di origine, devono farsi carico della questione.

Nei Paesi da dove arrivano, un qualsiasi straniero che faccia qualcosa di illecito o semplicemente si prenda una denuncia da un residente, viene immediatamente segnalato all’Ambasciata, la quale deve correre prima che tutto finisca come capitato ai nostri connazionali più volte, a partire dall’Egitto. I rimpatri dovrebbero essere a carico dell’Ambasciata di appartenenza, altro che carico Statale del paese ospitante. Certo, gli accordi bilaterali dominano, si usa fare compromessi per via delle risorse energetiche e scambi commerciali, dunque c’è una condizione di spendibilità di un certo disagio a favore di accordi tra Stati.

Io credo si debba fare ancora tanta strada e che il rischio d’implosione sia superiore all’esplosione poiché de-facto, adesso dovremmo fare un punto zero il che vuol dire ripartire, dunque fuori tutti, ci si organizza e si riparte. Qui a Milano non funziona niente, dai Centri di accoglienza, ai compound di rimpatrio ai sistemi di detenzione distinti. Le Forze dell’Ordine sono insufficienti e fanno i salti mortali per ridurre i disagi ai cittadini. I militari non vanno bene (purtroppo), Milano non può offuscare il brand che la vuole la città della moda, "a la page". Soprattutto non funziona la gestione delle criticità, dunque se arriva un moderato lo si gestisce ma se arriva un borderline non ne siamo capaci nella maggior parte dei casi.

Certe sedimentazioni criminali sono intrinseche, non c’è una presa di coscienza possibile da parte di questi extracomunitari se non attraverso l’ordine prestabilito secondo regole, dunque deterrenza e punizione se serve.

La maggior parte di loro, come ho potuto vedere direttamente, non sono ragazzi cresciuti nelle condizioni minime per capire l’importanza del sacrificio che porti all’integrazione. Lo si vede dalla normalità con cui compiono crimini contro le persone, le cose. Cercano la vita facile che vedono possibile date le circostanze di totale incapacità che ci caratterizza dal punto di vista del nostro modello di Società. Lo si vede da come si muovono con il fare di chi ha sviluppato tecniche di totale assenza delle leggi, delle regole, rispetto umano e di ogni altro parametro che riconduca alla civiltà. Nei campi di lavoro in cui ho vissuto, i ragazzi che prendevamo per dare loro la possibilità di lavorare, dopo un giorno rubavano ciò che potevano per dileguarsi nelle enormi bidonville che stagnano ai bordi delle enormi città del nord Africa e Africa subsahariana. Ed erano di "buona famiglia".

Alcuni di loro li recuperavamo ma erano casi rarissimi e bisognava punirli per mantenere la pace tra gruppi che erano solo di città diverse. Si riconoscono nel branco a prescindere, solo per accenti di pronuncia. Cosa possono vedere in una Milano dell’opulenza e delle vie Montenapoleone? Questi sono individui abituati a fare il bagno nei fiumi iper-inquinati delle zone di città, tanto da far morire un cittadino europeo solo se si volesse fare un bagnetto rifrescante. Hanno dei bagni comuni nei villaggi, fatti su rialzi di terra dove sul dosso appoggiano dei bidoni ex barili di petrolio, rimossi quando pieni da coloro che sono addirittura socialmente al di sotto dei ceti sociali dominanti che ne possono usufruire, quali il capo villaggio e i tutori dell’ordine (si fa per dire). Vivono in mezzo a polli, capre e cani randagi pronti a sbranare chiunque. Solo l’esercito è temuto, solo la repressione li ferma e li blocca nei loro baluardi di sopravvivenza. I bravi ragazzi non vengono in Italia, le famiglie normali non lasciano andare i loro figli in quanto risorse per sopravvivere. Solo in caso di pericolo di vita possono pensare a lasciarli tentare la sorte, non certo per condizioni economiche né alla ricerca d’ideale di libertà di parola o del benessere occidentale. Dunque caro Giulio, pur riconoscendolo come un mio punto debole, non sopporto più il racconto del buono che scappa dall’oppressione, dalla negazione dei diritti umani, sono uno che ha visto con i propri occhi cosa e come… Questi personaggi non sanno neanche cosa siano i diritti umani, ne vengono a coscienza qui da noi, imparando ad usarli come arma di difesa e per prendersi spazi senza fare fatica fino allo sberleffo e l’insulto del nostro modello di civiltà, usando la parola magica: razzista di m…a tal volta declinata a: Italiano di m…a. Evviva la tolleranza.

Gianluca

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