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Inviato da avatar Giulio Beltrami il 14-11-2021 alle 23:59

Sull'abitudine ad approcciare la tecnologia ci sarebbe molto da dire, a partire dalle recriminazioni sulla nostra crescente dipendenza da certe reti sociali, indotta da biechi imprenditori.

In realtà fino dagli albori della civiltà gli artigiani e poi i progettisti si sono preoccupati del successo dei propri manufatti (hardware) ed anche artefatti (software); successo dipendente da tre fattori d'uso:

  1. Capacità, in termini di funzioni offerte (dal coltellino svizzero al computer).
  2. Facilità, intesa oggi come agibilità (affordance).
  3. Abitudine appunto, indotta dalla combinazione virtuosa dei primi due.

con cui lo sviluppo del disegno industriale, l'affermarsi del prodotto come servizio e le tendenze alla miniaturizzazione e dematerializzazione digitale, ci promettono una tecnologia tendenzialmente invisibile.
Invisibilità strumentale evidenziata già nell'ermeneutica, da Heidegger a Gadamer, come da presentazione allegata, sul rapporto tra calcolatore e conoscenza.

Quindi oggi ogni progettista, sopratutto di reti sociali, sa che l'abitudine fa aggio sulla facilità, la quale fa aggio sulla ricchezza funzionale, per cui concepisce ogni mezzo per avvincere l'utente, a partire dall'ergonomia dell'interfaccia fino a spinte (push) più o meno gentili.

Così come noi utenti, per mera abitudine non ci accorgiamo della complessità di Facebook, mentre arranchiamo se qualche volta ci capita di accedere a questa rete civica, che ospita Filosofia sui Navigli.
Rete civica su cui peraltro si discute anche di ciò, in relazione a "smart citizen per la smart city" ed a "partecipazione e cittadinanza attiva".

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